Oggi ho attraversato per il lungo tutta la Langstrasse. Non lo facevo di mattino presto da due anni. Con la pandemia ho cambiato ritmo, lavoro da casa, me la prendo comoda, faccio la pigra. La strada è rimasta la stessa, con gli stessi scarti della notte buttati sui marciapiedi. L’allucinato che gioca a fare il vigile del traffico, il terzetto accucciato accanto alla strada che di botto butta un bicchierone di birra sulla carreggiata, le tre prostitute che chiudono l’orario di lavoro tra frizzi e lazzi. E io sulla mia bici che li guardo, svagata, passo, divertita, e non so nulla. Io, con la mia vitarella regolata, che appena ho rischiato di finire con il culo a terra – un po’ come loro, forse (perché poi alla fine queste cose chi le sa) – mi sono spaccata per tirarmi su, riconquistarmi un’esistenza dignitosa, borghese. Io sulla mia bici, dicevo, che tiro a campare e mi do arie da scrittrice e non so un cazzo. Li registro mentre gli sfreccio accanto e poi li utilizzo per regalare colore alle pagine bianche che riempio di segnetti neri. Li sfrutto e loro mica lo sanno e se anche lo sapessero, cosa gli importerebbe? Una scribacchina qualunque, uguale agli altri scribacchini annaspanti, che si alleano, tradiscono, fingono e fanno i saltimbanchi. Alla fine della strada salgo sulla torre e mi cerco un posticino in ufficio, mi siedo alla scrivania, accendo il computer, faccio l’impiegata. La scrittrice impiegata.
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Elda Pianezzi, autrice, traduttrice e giornalista
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